LaRecherche.it
Scrivi un commento
al testo di Gian Maria Turi
|
||||||||
O voi falliti inetti ipocriti intriganti indegni ruffiani della vita che è in voi Voi che non rimpiangete e non sognate certi di esserci sicuri di fare pensierosi automatici disinnescati: bruti Voi che credete di venire da dove vorreste andare figli dei condannati a emigrare pastori della disintegrazione discepoli di voi stessi. Aborti. Perle vostre orecchie lorde merdose dei rumori che inventate la polvere inorganica e opaca sulla pelle i polmoni incatramati e sopra tutto la vostra gaudente indifferenza di inetti Peri vostri amplessi metodici e annoianti voi scissi e consapevoli della vostra decomposizione imminente aggregati di niente che vi parlate addosso e come insipide larve carrieriste v’illustrate in araldiche di niente. Voi che vi eleggete adivi di voi stessi genia terricola. Voi che vi confortate nell’agio di teorie che inventate per darvi ragione che sprecate un tempo inesistente a accumulare minerali e possessi che osate recintare i campi voi che ci incatenate i fratelli voi bisognosi pusillanimi di condottieri e di saggi Per voi che biasimate da profeti le libertà degli altri e subite l’anarchia di voi stessi voi indomiti bramosi sapidi intelletti metafisici rettori del vero – voi che non siete altri che voi stessi. Voi che dite io penso io sono e che misconoscete la contraddizione che siete. Carne che suppone. Illusi. Voi che avete applaudito con gioia oscena mentre i fratelli che dicevate in dio erano arsi vivi vi siete nascosti tra la paglia di funesti ideali e avete acconsentito a che i figli macellassero altri figli per chiamarne qualcuno notabile Per voi che ancora giocando sempre più spietati avete ritenuto di esservi fatti adulti Voi irresponsabili senza remissione Perle vostre membra infiacchite flaccide appoggiate sulle laide poltrone le sedie i morbidi letti nutriti e gonfi come fetide saccate d’immondizia schifosi nelle vanità che soprannominate eccessi. Inetti codardi indegni del sangue che vi irrora e vi spinge apostoli della vivisezione pavidi ottusi mangia corpi che non volete quando è ora di morire Voi brillante progenie delle stelle aurei figliocci del censo imbevuti del pensamento cosmico voi compari del soffio Per voi che scavate i defunti di altre ere e ritagliate le frattaglie ai morti come testimonianze da addurre in tribunale voi che impiantate contro ogni sopruso sistemi di sopruso giudiziari Voi che ammucchiate rottami e vi obiettate indignati, quasi sorpresi voi che per l’agio comprate e che comprando azzerate se stessi voi che con noncuranza varcate i vostri limiti che vi cullate nelle spavalde imprese voi effigi di voi stessi e nulla più Ascoltate o voi esimi falliti, inetti ipocriti intriganti ruffiani di voi stessi ciò che desiderò Sertorio vittima condolente e disertore del costume aggiogante dei padri e delle madri che voi siete “Al calare del vento andò a sostare su certe isole sperdute e prive d’acqua dove passò la notte, e di lì salpò per attraversare lo stretto di Cadice, tenendo sulla destra la costa esterna dell’Iberia. Sbarcò poco sopra la foce del Beti, che sbocca nell’oceano Atlantico e dà il nome alla regione iberica circostante. Qui s’imbatté in alcuni marinai appena ritornati da quelle due isole dell’Atlantico – separate da uno stretto assai sottile e distanti10.000 stadi dall’Africa – che vengono chiamate Isole Fortunate. Godono di piogge moderate e rare, e soprattutto di venti miti,carichi di rugiada. La loro terra, perciò, è fertile e grassa,ottima per seminare e da arare; inoltre producono spontaneamente frutti dolci e sufficientemente abbondanti per nutrire la popolazione che trascorre nell’ozio un tempo libero dal lavoro e da ogni occupazione pratica. Anche l’aria in quelle isole è salubre,grazie a un clima temperato e privo di forti sbalzi stagionali. Infatti i venti settentrionali e di levante, che soffiano da terra verso l’esterno, incontrano un vasto spazio vuoto in cui si disperdono e, data la grande distanza delle isole dal continente, si smorzano prima di giungervi; d’altra parte i venti che soffiano dal mare, quelli cioè di mezzogiorno e di ponente, apportano piovaschi leggeri e sparsi, ma soprattutto rinfrescano la vegetazione con brezze umide e la fanno crescere dolcemente. Tutto ciò ha diffuso, e radicato anche tra i barbari, la credenza che proprio lì si trovino i Campi Elisi e la sede dei beati, cantati da Omero. Quando udì questo racconto Sertorio fu preso da uno straordinario desiderio di andare ad abitare in quelle isole e di trascorrervi in pace il resto della vita, lontano da un potere persecutorio e da guerre senza fine.” (Plutarco, Sertorio 8-9) [ Tratto da Acrilirico, di Gian Maria Turi, Manni Editori, 2011 ] |
|